Procedure di allerta e composizione della crisi nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza

Bancaria 7/8 2019 - Procedure di allerta e composizione della crisi nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza

The new business crisis regulation in Italy: the alert procedure and turnaround

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Antonino Ilacqua, Studio Ilacqua
Keywords
Allerta e composizione,
crisi d’impresa
Jel codes
G30, G33
1. Premessa
Lo strumento dell’allerta, così come il procedimento di composizione assistita della
crisi hanno necessità di una rivisitazione che cerchi di armonizzare le diverse esigenze,
diritti e aspettative di tutte le parti coinvolte. Non si devono trascurare alcuni rischi
che gli effetti dell’allerta possono creare sui rapporti dell’impresa con i creditori. Nel
rispetto dell’autonomia dell’imprenditore che, in ogni caso, risponde del cosiddetto
«rischio di impresa» che, alla fine, resta di esclusiva competenza e, soprattutto, responsabilità
dello
stesso.
The Alert Procedure and the Assisted Crisis Management Procedure introduced by the new Italian Insolvency Code
need to be reconsidered in order to better harmonize the different needs and rights of all parties involved. In respect
of the autonomy of the entrepreneur who only has the responsibility of the business risk.
Al fine di comprendere appieno la portata della riforma in
materia di allerta sull’emersione della crisi, appare opportuno
ripercorrere
i precedenti
storici
dell’istituto.
«Consentire
alle imprese
sane in difficoltà finanziaria
di ristrutturarsi
in
una
fase
precoce,
per
evitare
l’insolvenza
e
proseguire
l’attività»
figura tra i principali
obiettivi
della raccomandazione
n.
2014/135/Ue.
La
necessità dell’ingresso
anticipato in procedura
dell’imprenditore
in crisi
è,
peraltro,
principio
riconosciuto
da tutti
gli
ordinamenti
e fa
parte
dei principi
elaborati dall’Uncitral
e
dalla Banca Mondiale per la corretta
gestione della crisi
d’impresa.
È
fatto
noto,
del resto,
come la possibilità di salvaguardare
i
valori
di un’impresa
in difficoltà è direttamente
proporzionale
alla tempestività
dell’intervento
risanatore,
tant’è che
il ritardo nel percepire i segnali di una crisi fa sì che, nella
maggior parte dei casi, questa degeneri in vera e propria insolvenza
sino a divenire
irreversibile.
Recenti
studi hanno evidenziato
l’incapacità delle imprese
italiane,
per lo più medie o piccole,
di promuovere
autonomamente
processi
di ristrutturazione
precoce
a causa di una
serie
di fattori
che ne riducono
la competitività
(sottodimensionamento,
capitalismo familiare,
personalismo
autoreferenziale
dell’imprenditore,
debolezza degli assetti di
corporate
governance,
carenze
nei sistemi operativi,
assenza
di
monitoraggio
e di pianificazione,
anche a breve
termine).
Allo
scopo di scongiurare
la progressiva
dispersione
del valore
aziendale e per giungere
a «massimizzarne
il valore
totale
per creditori,
dipendenti,
proprietari
e per l’economia
in
generale»,
come prevede
l’obiettivo
principale
posto nella
raccomandazione
2014/135/Ue,
(1° considerando) è stata,
quindi,
introdotta
una fase
preventiva
di «allerta»,
volta
ad
anticipare l’emersione della crisi intesa come strumento di
sostegno, diretto innanzitutto a una rapida analisi delle cause
del malessere economico e finanziario dell’impresa, e destinato
a risolversi,
all’occorrenza,
in un vero
e proprio
servizio
di composizione assistita della crisi,
funzionale ai
negoziati
per il raggiungimento
dell’accordo
con i creditori
o,
eventualmente,
anche solo con alcuni di essi (ad esempio
quelli
meno conflittuali,
o più strategici).
2. Le finalità della procedura d’allerta
Con le misure di allerta il Codice mira infatti a creare un
luogo d’incontro tra le contrapposte, ma non necessariamente
divergenti,
esigenze del debitore
e dei suoi creditori,
secondo
una logica
di mediazione e composizione,
non improvvisata
e solitaria,
bensì assistita da organismi professionalmente
dedicati
alla
ricerca
di una soluzione negoziata,
con
tutti
i
riflessi
positivi
che
ne
possono
indirettamente
derivare,
anche in termini
deflattivi
del contenzioso civile
e
commerciale.
Il
Codice conferma
la previsione
(già
invero
inserita
nella
legge
delega 18 ottobre
2017,
n.
155) circa
l’istituzione,
presso
ciascuna camera di commercio,
industria,
artigianato
e
agricoltura,
di un apposito organismo che assista il debitore
nella procedura
di composizione assistita della crisi
e
la
nomina di un collegio
di tre
esperti.
Considerato
che
la
prospettiva
di
successo
di
siffatta
procedura
dipende in gran
parte
dalla propensione
degli imprenditori
ad avvalersene
tempestivamente,
configura inoltre
un
sistema
di
incentivi
(sia
di
natura
patrimoniale,
incidenti
sulla
composizione
del
debito,
sia
di
responsabilità
personale)
per chi vi ricorra
e di disincentivi
per chi,
invece,
non
ne
faccia
uso pur quando ne sussistano le condizioni,
fermo
l’obbligo
di
segnalare
i
più
significativi
indizi
di
difficoltà
finanziaria
ad opera dei principali
creditori
istituzionali
(l’Agenzia
delle Entrate,
l’Inps e gli agenti della
riscossione
delle
imposte)
o
ad
opera
degli
organi
di
controllo
societari,
del
revisore
contabile o delle società di revisione,
se si tratta
di
impresa
gestita in forma
societaria
1
.
Con riguardo ai «controllori interni», i quali già con la legge
1 A compromettere il sistema della procedura di aller ta, considerato uno degli
snodi nevralgici del nuovo Codice della crisi d’impresa, potrebbe essere l’eventuale
accoglimento
dell’emendamento
(proposto
dalla
Lega
ed
al
momento
in
cui si scrive
ancora
al vaglio della Commissione Bilancio della Camera
dei
Deputati)
finalizzato
ad elevare considerevolmente
i parametri
di attivo,
ricavi
e
dipendenti della società,
al cui superamento
è legato il vincolo di previsione
del
sindaco o del revisore.
In tal modo,
si avrebbe
infatti l’effetto
di ridurre
il
numero
delle società obbligate
all’adozione dell’organo
di controllo e,
conseguentemente,
verrebbe
ridimensionata
la
segnalazione
dei
cosiddetti
«controllori
interni».
Temi legali | 57
delega avevano assunto un ruolo più attivo all’interno dell’impresa,
dovendo
affiancare
all’ordinaria
attività
di
vigilanza
anche un’attività
di tipo prognostico
consistente
nell’individuazione
degli
indizi
di
una
crisi
incipiente,
da
più
parti
è stato evidenziato
il pericolo
che l’impresa
stessa
possa
essere
messa
a
rischio
di
chiusura
per
effetto
della
segnalazione
effettuata da organi di controllo
inutilmente
solerti.
Potremmo,
infatti,
trovarci
in casi in cui,
dinanzi al
negativo
flusso di cassa operativo
causato da crediti
inesigibili
a breve
e,
dunque,
da ritardi
della riscossione
a vario
titolo
(situazione classica a cui le imprese
sovente
sono
soggette)
il
revisore
contabile,
intravedendo
indizi
di
crisi
aziendale,
e per non essere
travolto
comprensibilmente
nella
responsabilità
aquiliana,
si attivi
per l’adozione della procedura
di allerta
che,
invece,
sarebbe
presumibilmente
rientrata
autonomamente
grazie
alla sapiente azione perseverante
dell’imprenditore.
Molte
sono,
inoltre,
le
criticità
anche
con
riferimento
all’esposizione
debitoria
rilevante
che determina
l’obbligo
di
segnalazione
dei creditori
qualificati.
Con
particolare
riferimento
all’Agenzia delle Entrate,
la
prima
criticità
è
di
natura
interpretativa.
Infatti,
dalla
lettera
della
norma
(1°
e

comma
dell’art.
15)
non
è
ben
chiaro
se,
entro
i 90 giorni
dall’avviso
di esposizione debitoria
rilevante,
il
debitore
che
vuole
scongiurare
la
segnalazione
all’Ocri,
e che non abbia ancora chiesto la dilazione del pagamento,
debba comunque
estinguere
o altrimenti
regolarizzare
per intero
il debito verso
l’Agenzia.
Un’interpretazione
in tal senso,
infatti,
sarebbe
assolutamente
incoerente
con il vigente quadro
normativo,
che riconosce
all’impresa
una tempistica di pagamento molto più
ampia.
In
particolare,
ai sensi dell’art.
29 del decreto
legge n.
78/2010,
il debitore
è tenuto
a pagare
gli importi
indicati
nell’avviso
di accertamento
dell’Agenzia delle Entrate entro
il
termine
di presentazione
del ricorso,
ossia entro
60 giorni.
Trascorsi
30
giorni
dal
termine
utile
per il
pagamento,
la
riscossione
delle somme richieste
viene affidata agli agenti
della
riscossione.
Il
debitore,
inoltre,
ai
sensi
dell’art.
3
bis
del
decreto
legge 31 maggio
2010,
n.
78,
può rateizzare
7/8
|
2 019 B ANC ARIA
58 |
l’importo in 8 rate trimestrali o, se le somme superano i
5.000 euro, in 20 rate trimestrali.
Ciò posto, al fine di evitare che l’allerta «esterna» si trasformi
in un «incaglio» per l’imprenditore, non rimane che aderire
a una interpretazione ermeneutica «riduttiva» del testo, nel
senso di ritenere sussistente l’obbligo di segnalazione solo
ove, entro 90 giorni dall’avviso di esposizione debitoria rilevante,
il debitore
non abbia:
a. estinto o altrimenti regolarizzato per intero il proprio
debito, sempreché siano decorsi 90 giorni dalla notifica
dell’avviso di accertamento e non abbia optato per la rateizzazione
del debito;
b. regolarizzato il pagamento rateale.
Le medesime considerazioni in ordine alla mancata armonizzazione
delle norme
valgono
anche con riferimento
all’esposizione
debitoria
rilevante
per l’agente della
riscossione,
per
il
quale
i
debiti
devono
essere
scaduti
da
oltre
90
giorni
e
superare,
per
le
imprese
individuali,
la
soglia
di euro
500.000 e,
per le imprese
collettive,
la soglia
di
euro
1.000.000.
In
tal caso,
infatti,
non si fa
neppure
cenno alla possibilità
che
l’imprenditore
ha di dilazionare
il pagamento del debito.
Eppure,
innanzi
all’agente
della
riscossione
può
essere
richiesta
la ripartizione
del pagamento delle somme iscritte
a
ruolo
fino
a
72
rate
e,
relativamente
ai
piani
di
rateizzazione
straordinari
2
, fino a un massimo di 120 rate mensili.
Invero, nel tempo «franco» che il legislatore concede alle
imprese, il contribuente non può assolutamente essere considerato
inadempiente verso
gli enti creditori
(né possono
essere
iscritti
fermi
o
ipoteche,

possono
essere
attivate
altre
procedure
di riscossione),
pena la compromissione
della
libertà
di iniziativa
economica costituzionalmente garantita
dell’imprenditore
che può legittimamente
e liberamente
decidere
anche di dilazionare
l’importo
del debito,
configurandosi
la
rateizzazione

almeno
di
fatto
– quale
misura
a sostegno di un settore,
quello industriale,
ormai
in
crisi.
Del
resto,
tra i cosiddetti «grandi
morosi»
uno su tre
sceglie
la
via della rateizzazione
3
e la stessa possibilità di dilazionare
2 Cfr. ar t. 19, dpr 29 settembre 1973, n. 602.
3 È quanto risulta dai dati Equitalia.
dimostra che i debiti scaduti, di per sé, non possono costituire
validi
indicatori
di crisi,
poiché non in grado
di rappresentare
correttamente
la situazione finanziaria
di
un’impresa
che può trovarsi,
ad esempio,
in una situazione
di
difficoltà grave
ma transitoria
e,
per tale motivo,
attendere
il
decorso
dei tempi che la vigente normativa
comunque
gli
riconosce.
Non
sottacendo,
inoltre,
che molte aziende,
proprio
per la
differente
tempistica che il legislatore
ha dato ai piani di rateizzazione,
a secondo che sia richiesta
direttamente
all’Ade
(max
60
rate),
o
direttamente
alla
Ader
(max
120
rate)
optino,
nonostante i maggiori
costi,
per la seconda.
Ma in tal
caso,
con
l’entrata
in
vigore
delle
nuove
regole
tale
opzione
non
sarà più consentita causando sicuri
«sbilanciamenti» di
cassa
che non possono che nuocere
alla continuità
e ai percorsi
di risanamento
intrapresi/da
intraprendere.

Di
mancata armonizzazione
normativa
può,
infine,
parlarsi
in
merito
all’esposizione
debitoria
rilevante
per
l’Istituto
nazionale
della previdenza
sociale,
che mal si «sposa» con i
meccanismi
attualmente
vigenti
del
mancato
rilascio
del
Durc
e/o
delle
azioni
esecutive
che,
per
legge,
l’Agenzia
delle
Entrate
prima
e,
susseguentemente,
gli
Agenti
della
Riscossione
devono
porre
in essere.
L’obbligo
di segnalazione dei creditori
qualificati,
in sostanza,
considerate
le
soglie
di
esposizione
debitoria
rilevanti,
finisce
con il
ledere
l’autonomia
dell’imprenditore
che,
in un momento di tensione
finanziaria
– quando cioè
la
crisi
è ancora reversibile
–,
si vede
«nell’impossibilità» di
scegliere
le misure
che reputa
più idonee,
nel caso concreto,
alla
preservazione
della sua impresa:
pagamento dei fornitori
primari,
differimento
del
pagamento
dei
creditori
meno
critici,
accordi
con i finanziatori,
rifinanziamento
dell’impresa.
Non
si
devono
trascurare
alcuni
rischi
che
gli
effetti
dell’allerta
possono creare
sui rapporti
che l’imprenditore
ha
con
i creditori,
segnatamente con le banche.
Una non approfondita
conoscenza del reale
stato di crisi,
in particolare
al
suo
inizio,
potrebbe
essere
interpretata
come
crisi
irreversibile,
con la conseguenza,
per l’imprenditore,
di vedersi
sospendere/congelare
l’accesso al credito.
In particolare se si considera il fatto che non è riconosciuta
la natura prededucibile ai crediti derivanti da finanziamenti
effettuati da banche e intermediari finanziari nella fase, cosiddetta,
di allerta.
Gli
indicatori
di crisi
potrebbero
essere
inseriti
in una policy
legata
all’erogazione
del credito,
senza dover
creare
però un
collegamento
automatico tra allerta
e credito.
È quindi essenziale
un approfondimento.
Evitando che la procedura
di
allerta
porti
le banche a non erogare
più nuovo
credito
o a
richiedere
la restituzione
delle posizioni a revoca
già
in essere
alle imprese
per le quali sia stata attivata.
3. L’approccio del legislatore europeo
Anzi, proprio partendo da tale ultima considerazione, appare
fondamentale,
ai
fini
di
una
lettura
d’insieme
del
sistema
giuridico,
analizzare
l’approccio
adottato dal
legislatore
europeo
– recepito
anche dall’ordinamento
nazionale
attraverso
l’adozione
delle
Linee
Guida
di
Banca
d’Italia
che riproducono
fedelmente lo schema seguito da
Bce
– con riferimento
ai Non Performing
Loans.

Va
infatti
ricordato
che
le
Linee
Guida
per
le
banche
sui
crediti
deteriorati
(Npl),
emanate dalla Bce nel marzo 2017,
già
suggeriscono
alle
banche
di
dotarsi
di
procedure
e
di
flussi
informativi
interni
volti
a
individuare
e,
successivamente,
a gestire
proattivamente
(fin da quando si trovino
in
uno
stadio molto «precoce»)
le situazioni di deterioramento
creditizio,
adottando un Early Warning
System.
Secondo
le Linee Guida,
la gestione operativa
delle
segnalazioni
di allerta
derivanti
dall’Early Warning
System deve
essere
affidata a unità operative
di back-office specializzate
nel
monitoraggio
e nella valutazione
del rischio
(il cosiddetto
Credit
Risk
Management)
ma,
tali
segnalazioni
devono
altresì
essere
verificate,
attraverso
procedure
dedicate,
da
parte
di unità di front-office
(che nella prassi coincide
con
il singolo gestore
di filiale).
Le
Linee
guida
della
Bce
prevedono,
inoltre,
dei
suggerimenti
in ordine
alla struttura
e alla procedura
operativa
che
le
banche
potranno
seguire
nella
progettazione
di
un
sistema
di allerta
adeguato che si fondi su:
- l’identificazione di adeguati indicatori;
Temi legali | 59
- la previsione di una procedura basata sull’adeguata verifica
della situazione economico-finanziaria complessiva della
controparte (anche interpellando i referenti aziendali);
- l’individuazione di adeguate misure e soglie di allerta.
È evidente, dunque, come la procedura prevista dalle Linee
guida della Bce si adatti perfettamente alle esigenze segnaletiche
e di monitoraggio
preventivo
prospettate
dal Codice
della
crisi
d’impresa
e dell’insolvenza
(d’altronde,
entrambi
gli
interventi
sono
figli
di
una
medesima
visione
dettata
dal
legislatore
europeo),
senza
però
tener
conto
della
tenuta
del
sistema,
come più avanti
si dirà.
Sul
punto,
però,
si ritiene
che andrà chiarita,
almeno ci si
augura,
la portata
e il significato,
rispetto
alle regole
di Basilea,
nonché,
alle istruzioni
di Vigilanza
sia della Bce,
che
la
conseguente
declinazione
da
parte
della
Banca
d’Italia,
del
dictum
riportato al comma 3 dell’art. 12 del nuovo Codice,
che
espressamente
prevede:
«(...)

non
costituiscono
causa
(...) di revoca
degli affidamenti bancari
concessi (...)».
Il
ceto
bancario,
infatti,
dovrebbe
mantenere
l’autonomia,
rispetto
ai rating assegnati ai propri
clienti,
certamente
non
potendo
rimanere
«incastrato» in un percorso
di risanamento
che,
per quanto sia e voglia
essere
virtuoso,
non tutela
dal rischio,
ad esempio,
di esercizio
abusivo
del credito.
La
definizione
utilizzata,
infatti,
che
l’attivazione
della
procedura
di
allerta
o
la
richiesta
di
composizione
assistita
della
crisi
«non costituiscono causa» non appare,
prima
facie,
chiara
e
di pronta
risoluzione.
Il
problema
che
sorge,
e
che
appare
di
facile
intuibilità,
è
quello
relativo
alla circostanza
che,
ove
il ceto bancario
non
ritenga
di poter «accompagnare»
oltre
l’impresa,
il sistema
di
allerta
o la richiesta
di composizione della crisi
verrebbe
meno
sin dalla genesi.
4. Alcune possibili correzioni
Il legislatore nazionale, sulla scorta delle indicazioni europee,
e seguendo gli esempi virtuosi
di quei paesi in cui una
fattiva
collaborazione tra tutti gli stakeholder
ha determinato
una
forte
riduzione
del
rischio
d’insolvenza,
sembra
7/8
|
2 019 B ANC ARIA
60 |
infatti aver voluto costruire un meccanismo in cui ciascun
portatore d’interesse debba essere responsabilizzato: ciascun
portatore d’interessi ha l’obbligo di comportarsi in modo
virtuoso e collaborativo, nel rispetto, però, di una necessaria
sinergia tra i sistemi di controllo interni all’impresa e i sistemi
di monitoraggio
del rischio
di credito
delle banche.
Per
tale
motivo
ci
si
augura
che,
nella
versione
finale
del
d.lgs.
14/2019,
siano apportate
quelle correzioni
necessarie
a
dare
prededucibilità
ai
crediti
maturati
successivamente
all’allerta
o alla richiesta
di composizione assistita.
Abbiamo
utilizzato,
non a caso,
la locuzione crediti,
in maniera
generica,
perché,
a parere
di chi scrive,
è necessario
dare
«stabilità»,
non
solo
ai
crediti
finanziari,
ma
anche
ai
crediti
non finanziari
di quei fornitori
necessari
per la continuità
aziendale e che,
a ogni
buon
conto,
possono o meno
essere
vincolati da un contratto pendente di fornitura
la
cui
esistenza,
in ogni
caso,
non muta
la strategicità
del fornitore.

A
ogni
modo,
ferme
restando
le
perplessità
già
esposte,
e
che
si auspica possano essere
risolte
prima
della completa
entrata
in vigore
del Codice,
attraverso
una significativa
rivisitazione
dello stesso,
le caratteristiche
salienti delle procedure
di
allerta
(art.
12
nuovo
Codice)
e
di
composizione
assistita
della crisi
(art.
19 nuovo
Codice)
sono state concepite
– almeno nelle intenzioni del legislatore
– in modo da
incoraggiare
l’imprenditore
ad avvalersene.
È
noto,
infatti,
che
le
stesse
siano
contrassegnate
da
confidenzialità
e siano collocate al di fuori
del tribunale,
per evitare
il
rischio
che
l’intervento
del
giudice
possa
essere
percepito
dal
medesimo
imprenditore,
o dai terzi,
quasi come l’anticamera
di
una successiva
procedura
concorsuale
d’insolvenza.
Le
procedure
in
esame,
è
bene
ricordarlo,
non
si
applicano
indistintamente
a tutte le società (cfr.
art.
12 nuovo
Codice),
in
particolare
non si applicano alle società quotate in borsa
o
in altro
mercato
regolamentato
e alle grandi
imprese
come
definite
dalla
normativa
dell’Unione
europea,
coerentemente
con la previsione
contenuta
nell’art.
4,
comma
1,
lettera a) della legge delega.
È
prevista
la
possibilità
per
l’imprenditore
di
ottenere,
rivolgendosi
al tribunale,
misure
protettive
(art.
20 nuovo
Co-
dice), volte a impedire o paralizzare eventuali aggressioni
del patrimonio del debitore (o comunque dei beni facenti
parte dell’impresa) da parte dei creditori nel periodo di
tempo occorrente all’espletamento della procedura, e all’eventuale
raggiungimento
di accordi
negoziali con i creditori
medesimi (in effetti tale procedura
già
esisteva
nell’abroganda
Legge Fallimentare).
Il
percorso
si snoda,
successivamente,
attraverso
il procedimento
della
composizione
assistita
della
crisi
(art.
19
e
ss.
nuovo
Codice) diversa,
ovviamente,
dalla procedura
di allerta.
Infatti,
mentre
la procedura
di allerta
è finalizzata a far
emergere
tempestivamente
la crisi
dell’impresa,
ricercando,
con
l’ausilio degli organi di controllo
o dello stesso Ocri
e
senza
coinvolgere
i creditori,
una soluzione alla crisi,
principalmente
mediante
l’adozione
di
misure
riorganizzative
dell’attività
imprenditoriale,
diversa
è la prospettiva
dell’istituto
della composizione assistita della crisi,
al cui interno,
nel
presupposto
che sia imprescindibile
la ristrutturazione
del
debito,
la soluzione viene ricercata
mediante una trattativa
con i creditori,
favorita
dall’intervento
dell’
Ocri
che
si
pone come una sorta
di mediatore
attivo
tra le parti.
Il
nuovo
Codice
prevede
che
l’iniziativa
per
l’attivazione
del
procedimento
di
composizione
assistita
della
crisi
appartenga
solo al debitore,
il quale può rivolgere
all’Ocri
l’istanza
di
intervento
all’esito
dell’audizione,
ma
anche
prima
e a prescindere
dalla stessa.
Ricevuta
l’istanza,
il
collegio
fissa
un
termine
non
superiore
a
tre
mesi da utilizzare
per ricercare
una soluzione concordata
con i creditori
e incarica
il relatore
di seguire
le trattative,
anche facendosi
parte
attiva,
se ciò sia utile per favorire
l’accordo
con l’autorevolezza
che gli deriva
dal ruolo.
Il termine
può
essere
prorogato
fino
a
un
massimo
di
tre
mesi
solo
se risulta
che le trattative
segnano un progresso
verso
la
soluzione concordata.
Nel
più breve
tempo possibile il collegio
deve
acquisire
dal
debitore
una
relazione
aggiornata
sulla
situazione
economica
e finanziaria
dell’impresa
e un elenco dei creditori
e
dei
titolari
di diritti
reali
e personali,
con l’indicazione
dell’ammontare
dei crediti
e delle eventuali
cause di pre-
lazione; in alternativa, su istanza del debitore che non sia
in condizioni di produrre la suddetta documentazione, il
collegio può provvedere esso stesso a redigerla, suddividendo,
se del caso,
i compiti tra i suoi componenti conformemente
alle diverse
professionalità.
La ragione
dell’acquisizione
di tale documentazione si spiega con l’opportunità
di
disporre
di
tutti
gli
elementi
conoscitivi
utili
a
valutare
la situazione dell’impresa
e a individuare
il possibile
oggetto
delle trattative,
ma anche al fine di precostituire
la documentazione necessaria
per l’accesso a una
procedura
concorsuale,
così realizzandosi
evidenti
economie
di tempi e costi procedurali
in linea con il principio
di
cui all’articolo
2,
comma 1,
lettera l),
legge delega n.
155/2017.
Con
le
stesse
finalità,
il
Codice
(comma
3
dello
stesso
articolo
19)
consente
al
collegio,
su
richiesta
del
debitore,
di
attestare
la veridicità
dei dati aziendali.
Il falso
nell’attestazione
è sanzionato penalmente (art.
345).
Dispone
infine il Codice che se,
all’esito delle trattative,
il
debitore
raggiunge
un accordo
con i creditori,
detto accordo
debba essere
formalizzato
per iscritto
e depositato
presso
l’
Ocri,
che può consentirne
la visione e l’estrazione
di
copie solo a coloro
che l’hanno sottoscritto.
Ove
le descritte
formalità
vengano
osservate,
l’accordo
ha la stessa
efficacia
degli accordi
che danno attuazione al piano attestato
di risanamento,
con i conseguenti corollari
in termini
di
esenzione dalla revocatoria
in caso di successiva
liquidazione
giudiziale.
Presupposto
evidente
di tale beneficio
è
che l’accordo
sia stato raggiunto
con la supervisione
e
l’approvazione
del collegio,
il quale,
quindi,
si rende
indirettamente
garante della fattibilità
del piano sottostante
l’accordo.
È rimessa
al debitore,
con il consenso dei creditori
interessati,
la decisione di iscrivere
o meno l’accordo
nel
registro
delle imprese,
rendendolo
così conoscibile ai
terzi.
5. Conclusioni
Temi legali | 61
Lo strumento dell’allerta, così come il procedimento di
composizione assistita della crisi hanno necessità, a parere
di chi scrive, di una rivisitazione che cerchi di armonizzare
le diverse esigenze, diritti e aspettative di tutte le Parti coinvolte,
nel
rispetto
dell’autonomia
dell’imprenditore
che,
in
ogni
caso,
e
non
dimentichiamolo
mai,
risponde
del
così
detto
«rischio
di
impresa»
che,
alla
fine,
resta
di
esclusiva
competenza
e,
soprattutto,
responsabilità
dello stesso.
Gli
strumenti
oggi
posti a disposizione,
nell’attuale
Legge
Fallimentare,
per la risoluzione
delle crisi,
senza arrivare
alle
procedure
concorsuali:
ex artt.
67 e 182,
volendo
lasciar
fuori
l’art.
160,
si
prestavano
come
strumenti
certamente
più
flessibili,
rispetto
alla struttura
che il nuovo
Codice della
crisi
di impresa
e dell’insolvenza
detterà.
Tale
per cui lo spirito,
per il quale si è «lavorato»
nella Commissione
Rordorf
1
e
2,
di
cui
lo
scrivente
si
è
onorato
di
far
parte,
teso a far
emergere
le crisi
prima
che divengano
irreversibili,
con ogni
probabilità,
alla fine ha subito una battuta
d’arresto
su una flessibilità circa
le modalità di risoluzione
che,
a
contrariis,
appare
necessaria
in
un
contesto
di
trattativa
necessaria
debitore/creditore.
Non
si
possono
richiedere
sacrifici
ai creditori
senza,
nel contempo,
riconoscere,
quasi con un automatismo,
il diritto
alla completa
soddisfazione
di
quanto
messo
a
servizio
della
procedura
(post
allerta)
e,
quindi,
nell’interesse
di tutta la massa.
Ovviamente,
ben si comprende
che una prededuzione
non
«stigmatizzata»
in una sede giurisdizionale
può suscitare
perplessità
ma,
ove
il percorso
sia prescritto
e delimitato in
una
norma
che,
in caso di opposizione dei terzi che si sentissero
danneggiati,
sia ovviamente
sottoponibile al vaglio
del
giudice,
non si comprende,
alla fine,
perché
debba essere
ostacolata
se,
soprattutto,
è nell’interesse
della massa e non
certamente
ed esclusivamente,
a favore
del debitore.

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