Nota Project Financing: la scomparsa del diritto di prelazione del promotore
Project financing: la scomparsa del diritto di prelazione del promotore
Nota project financing
(Avv. Antonino Ilacqua - pubblicato il 4 agosto 2007 sulla rivista di diritto pubblico "Giustizia Amministrativa")
Nel modificare la disciplina del project financing contenuta negli artt. 153 e 154 del Codice dei Contratti (d.lgs. n. 163/2006), l’art. 1 del decreto correttivo (d.lgs. n. 113/2007) ha definitivamente soppresso il diritto di prelazione dell’originario promotore [1].
La portata dell’innovazione, senz’altro dirompente, può essere compresa solo ricostruendo, sia pur brevemente, il quadro normativo di riferimento dell’istituto.
L’originaria formulazione della Legge n. 109/1994 (cd. Merloni) non prevedeva la figura della finanza di progetto; i sistemi di realizzazione dei lavori pubblici erano solo il contratto di appalto di lavori pubblici e il contratto di concessione di lavori pubblici.
Successivamente, la L. n. 415 del 1998 (cd. Merloni ter), inserendo nella L. 109 del 1994 gli articoli da 37-bis a 37-nonies, ha aggiunto all’appalto e alla concessione di costruzione e gestione di cui sopra, una speciale forma di concessione di costruzione e gestione, quella della finanza di progetto, la quale, però, nulla prevedeva in relazione al diritto di prelazione del promotore [2].
Solo a seguito della L. n. 166/2002, integrativa della legge quadro in materia di lavori pubblici, venne riconosciuta al promotore, al termine della procedura negoziata - quando cioè la Commissione aveva già aggiudicato provvisoriamente la gara ad un altro concorrente -, la facoltà di adeguare la propria offerta a quella valutata più conveniente dall’amministrazione, così da rendersi a sua volta aggiudicatario della concessione [3].
Tuttavia fu proprio la novella normativa di cui alla L. n. 166/2002 ad ingenerare, tra i cultori del diritto, i primi dubbi in merito alla legittimità del diritto di prelazione, tanto che la Commissione Europea si vide costretta, con il parere che di seguito si riporta nei punti salienti, ad aprire una procedura di infrazione ai danni dello Stato Italiano: “attesi gli inconfutabili vantaggi assegnati al promotore, è necessario che, al fine di non incorrere in una violazione del principio di parità di trattamento, tutti i soggetti potenzialmente interessati devono essere posti, sin dal principio della procedura - e quindi dal momento della individuazione degli interventi suscettibili di proposta ex art. 37 bis - in condizione di conoscere non solo la possibilità di presentare una proposta ai sensi dell’art. 37 bis, ma anche la posizione di vantaggio di cui gode il promotore ai fini dell’attribuzione della concessione e, in particolare, dell’esistenza di un diritto di prelazione nella fase di aggiudicazione
della concessione” (parere del 15 ottobre 2003 reso dalla Commissione Europea).
Non era dunque la previsione di un meccanismo di preferenza a favore dell’originario promotore a preoccupare, in termini assoluti, la Comunità Europea, quanto piuttosto le inidonee modalità di pubblicità del diritto di prelazione e dei vantaggi connessi.
Più precisamente, nell’ottica comunitaria la violazione del principio di parità di trattamento non si realizzava nella fase procedurale della comparazione dell’offerta dell’originario promotore con quelle presentate dagli altri soggetti selezionati per l’affidamento della concessione, quanto piuttosto nella fase precedente in cui si creavano i presupposti per l’attribuzione della posizione privilegiata.
A parere della Commissione, in buona sostanza, si finiva per offrire al soggetto promotore una posizione di supremazia ingiustificata, in quanto non bilanciata da una pubblicità dei programmi che garantisse che tutti i soggetti potenzialmente interessati potessero, in condizioni di parità, valutare l’opportunità di assumere la qualità di promotore.
Recependo in toto le obiezioni mosse dagli organi della Comunità Europea, la L. n. 62/2005 rivisitava ancora una volta la legge quadro e, nel tentativo - peraltro ben riuscito - di consacrare definitivamente il principio di concorrenza e par condicio, statuiva che l’avviso indicativo doveva
rendere nota la titolarità del diritto di prelazione in capo al promotore e contenere altresì gli specifici criteri, individuati nell’ambito di quelli genericamente elencati all’art. 37 ter, attraverso cui l’amministrazione intendeva procedere alla valutazione comparativa tra le diverse proposte. [4]
Di conseguenza, come sostenuto anche dalla giurisprudenza, l’introduzione del diritto di prelazione a favore del promotore ha fatto sì che la scelta del promotore diventasse un momento decisivo della procedura della finanza di progetto, con la necessità di garantire già in questa fase il pieno rispetto dei principi di concorrenza e trasparenza. [5]
Interveniva in ultimo il Codice dei Contratti (D.lgs. n. 163/2006), il quale si limitava a riprodurre, in quanto finalmente conformi ai dettami comunitari, le disposizioni contenute nella L. n. 109/1994, riscritta dalla L. n. 62/2005.
Questa, dunque, la disciplina vigente in materia di project financing prima del D.lgs. n. 113/2007, il quale senza che ne fosse segnalata la necessità, ha abolito a sorpresa il diritto di prelazione del soggetto promotore.
La scelta del legislatore, presumibilmente “schiacciato” dalla preoccupazione di stigmatizzare ogni possibile rischio anticoncorrenziale, ha rotto - forse involontariamente - un equilibrio faticosamente costruito nel tempo, in quanto la previsione di un meccanismo di preferenza a favore dell’originario promotore aveva finora rappresentato il più valido tentativo di mediazione tra l’esigenza di rispettare le regole dell’evidenza pubblica - imprescindibili nell’affidamento del contratto di concessione di costruzione e gestione dell’intervento in project financing - ed il bisogno di riconoscere una forma di tutela privilegiata a chi si era comunque fatto carico, sia in termini ideativi che di oneri economici, di predisporre l’originaria idea progettuale.
La soppressione, oggi, del diritto di prelazione sottopone l’originario promotore al rischio di perdere la possibilità di essere parte attiva nella fase di realizzazione e gestione dell’opera, il che costituisce elemento di primaria importanza in quanto soltanto una gestione efficiente consente di generare i flussi di cassa necessari a rimborsare il debito contratto e remunerare il capitale di rischio.
Siffatto pericolo, verosimilmente, costituisce e costituirà per il soggetto interessato un oggettivo deterrente alla presentazione della proposta, atteso che a fronte dell’impegno profuso in termini di idea progettuale - il cui valore non sarà mai quantificabile- ed oneri certi, rappresentati dai costi di elaborazione del progetto, vi sarà solo un indennizzo irrisorio pari, ai sensi dell’art. 155 co. 4 in combinato disposto con l’art. 153 co. 1 d.lgs. n. 163/2006, al 2,5 % del valore dell’investimento.
Da qui l’esigenza di rinnovare l’interesse degli operatori economici attraverso una semplificazione della procedura di aggiudicazione della concessione che, salvaguardando i principi di trasparenza, pubblicità e tutela della concorrenza, riduca tempi e costi della partecipazione alla stessa.
All’uopo parte della dottrina ha avanzato la soluzione dell’utilizzo della procedura del dialogo competitivo [6] che, se opportunamente strutturato, coniuga i caratteri positivi delle procedure concorrenziali e di quelle negoziate; tuttavia occorre far presente che tale soluzione non è pacifica in quanto nel nostro ordinamento la compatibilità tra gli istituti del dialogo competitivo e del project financing non è unanimemente ammessa. [7]
Ciò premesso, il confronto internazionale mostra che il dialogo competitivo è particolarmente apprezzato in Europa proprio per la realizzazione di infrastrutture in project financing.
Per di più, la circostanza che nel nostro ordinamento l’utilizzo del dialogo competitivo sia riservato solo ad appalti di rilevante complessità, potrebbe promuovere la finanza di progetto, attualmente adoperata soprattutto per realizzare opere di modeste dimensioni, a strumento per realizzare grandi infrastrutture. [8].
E’ altresì necessario prendere in considerazione che l’eliminazione del diritto di prelazione possa altresì pregiudicare la stessa amministrazione aggiudicatrice che, dovendo prelevare la somma elargita a titolo di indennizzo dalla cauzione versata dal soggetto aggiudicatario, si vedrà costretta a liberare risorse destinate ad una migliore allocazione dei rischi.
Vero è che il Consiglio di Stato, nel parere n. 1750/2007 reso sullo schema del decreto correttivo, aveva per certi versi auspicato un ripensamento del diritto di prelazione: “… Pendono nei confronti dell’Italia alcune questioni di legittimità comunitaria del diritto italiano dei pubblici appalti, in ordine alle quali è prevedibile un esito di condanna dell’Italia. Più esattamente, la causa C-412/04 Commissione delle Comunità europee contro Repubblica Italiana, dove l’Avvocato generale, nel presentare le propri conclusioni, ha proposto alla Corte di Giustizia la declaratoria d’inadempimento dell’Italia, laddove ha adottato gli articoli 37 ter e 37 quater, nonché gli articoli 27, comma 2 e 28,
comma 4 della legge 11 febbraio del 1994 n. 109. Pertanto valuti l’Amministrazione se sia il caso di emendare i corrispondenti articoli del Codice ove non tengano conto dei rilievi fatti in sede comunitaria, al fine di arrestare la procedura di infrazione. Ciò vale in particolare per la prelazione in favore del promotore, nel “project financing” confermata nell’articolo 154 del Codice (che è comunque una sede impropria), prelazione che anche sul piano sostanziale è inopportuna perché rende poco appetibile la partecipazione alla gara e rischia così di sottrarre di fatto alla concorrenza questo importante istituto ...”.
Purtuttavia, al momento della stesura definitiva del D.lgs. n. 113/2007, le perplessità del Consiglio di Stato sulla legittimità dell’art. 154 Codice dei Contratti non potevano non ritenersi abbondantemente fugate dalla pronuncia della Corte di Giustizia Europea del 21/02/2008 [9].
Nella parte motiva della sentenza si legge testualmente: “… La Commissione fa valere che questa normativa - artt. 37 bis, 37 ter e 37 quater L. n. 109/1994 - può costituire una violazione del principio di parità di trattamento …. Infatti, con il proprio ricorso, la Commissione chiede che sia dichiarato che la Repubblica italiana è venuta meno a taluni obblighi che ad essa incombono in forza delle direttive 92/50, 93/36, 93/37 e 93/38 nonché degli artt. 43 CE e 49 CE. Ora, nell’ambito di questa censura, essa non indica quali di queste direttive e/o disposizioni del Trattato la Repubblica italiana avrebbe precisamente violato commettendo asseritamente una violazione del principio di parità di trattamento. Inoltre, per quanto riguarda gli artt. 43 CE e 49 CE, questi non prescrivono un obbligo generale di parità di trattamento ma contengono, come risulta dalla giurisprudenza citata al punto 66 della presente sentenza, un divieto di discriminazione in base alla cittadinanza. Ora, la
Commissione non fornisce alcuna indicazione relativa all’eventuale esistenza di una tale discriminazione nell’ambito della presente censura. Pertanto, la sesta censura deve essere dichiarata irricevibile …”.
Non esiste dunque, nello spirito giurisprudenziale comunitario, un obbligo generale di parità di trattamento, specie se la priorità accordata ad una delle parti in gara sia giustificata da posizioni oggettivamente differenziate, come è nel project financing, ove la situazione dell’originario
promotore non può essere assolutamente equiparata a quella degli altri soggetti i quali concorrono per la realizzazione e gestione di un’iniziativa faticosamente sviluppata dal primo.
Il project financing è stata per l’Italia una scelta quasi obbligata, atteso il basso livello di infrastrutturazione che ci caratterizza, e l’eliminazione del diritto di prelazione - disincentivando la promozione di grandi opere infrastrutturali (i maxi-appalti della Legge Obiettivo) - rischia di recidere il più importante contributo nel processo di modernizzazione del Paese.
Ci si augura che il terzo Decreto correttivo del Codice degli appalti oggi (1 agosto 2008) in attesa del via definitivo del Consiglio dei Ministri, così come sembrerebbe al nuovo articolo 153, tenga conto delle esigenze oggi rappresentate e reintroduca un istituto corretto sia dal punto di vista della legislazione comunitaria, sia dal punto di vista del “sistema produttivo paese”.
______________________________________
[1] Sul concetto di finanza di progetto vedi M. MISCALI, Il “project financing”, in I contratti del commercio, dell’industria e del mercato finanziario, a cura di F. Galgano, I, Torino, 1995, p. 729 s.s.; G.L. RABITTI, “Project finance” e collegamento contrattuale, in Contratto e Impresa, 1996, p. 225s.s.; G.B. NUZZI, “Il project financing” in Italia: esperienze e prospettive, in Dir. Comm. Intern., 1998, p. 681 s.s.; C. PAGLIETTI, Profili civilistici del project financing, in NGCC, 2003, p. 283 s.s.; M. CLARICH, Le novità introdotte per il Project financing: la figura del promotore, relazione a Convegno, Atti non pubblicati; F. MERUSI, Certezza e rischio nella finanza di progetto delle opere pubbliche, p.
479 s.s.
[2] Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture, Determinazione 11 ottobre 2007, n. 8 “ Diritto di Prelazione nelle procedure di project Financing e disciplina transitoria applicabile a seguito del d,lgs. 31 luglio 2007, n.113”.
[3] J. BERCELLI, Procedimento di finanza di progetto e art. 14-quinquies della legge n. 241 del 1990, [4] N. LUNGARESI, Concessione di costruzione e gestione e “project financing”: problemi applicativi nella scelta del promotore e del concessionario, in Riv. Trim. appl., 2001, pag.656ss., in cui si mette in rilievo l’evidente “equivoco di fondo” che permea l’intera disciplina della finanza di progetto, rappresentato dal fatto che nel momento in cui si intende coinvolgere più a fondo il privato, attraverso uno strumento particolarmente duttile, informale ed innovativo, si pongono peraltro una serie di paletti che comportano un allungamento della procedura anche superiore a quello proprio
degli appalti; ciò in quanto le esigenze pubblicistiche della concorrenza vengono perseguite secondo meccanismi tradizionali.
[5] In questo senso Consiglio di Stato, Sez. V, 5 ottobre 2005, n.5316, in giustamm.it
[6] E’ opportuno far presente che il secondo decreto correttivo del Codice degli appalti pubblici, ha procrastinato l’efficacia dell’istituto del dialogo competitivo all’emanazione del Regolamento attuativo del suddetto Codice che ancora non ha visto la luce definitiva.
[7] F. GASPARI, Il dialogo competitivo come nuovo strumento negoziale e al sua (asserita) compatibilità con la finanza di progetto, in giustamm.it
[8] L. GIAMPAOLINO, La Finanza di Progetto nel momento attuale, in giustamm.it (da intervento tenuto al “Corso sugli Appalti Pubblici: la finanza di progetto” organizzato dall’Ordine degli Ingegneri di Napoli - Sala Gaetano Filangeri – Tar Campania - Napoli 6 giugno 2008.
[9] Corte di Giustizia Europea, Sez. II, 21/2/2008 n. C-412/04.
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