Brevi note sul concetto di controllo analogo


Articoli e Note



n. 1 - 2012


Brevi note sul concetto di controllo analogo
(Avv. Antonino Ilacqua)


L'art. 113 comma 4 T.U.E.L. stabilisce che gli enti locali possano awalersi, per la gestione diretta dei servizi pubblici locali attribuiti alla loro competenza, di società di capitali con partecipazione totalitaria di capitale pubblico (cd. in house pura), a condizione che gli enti pubblici titolari dell'intero pacchetto azionario esercitino, sulla società di capitali, un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società partecipata realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano.

Il punto controverso della citata disposizione riguarda i tratti essenziali del «controllo analogo» e, nel silenzio della legge, è spettato ancora una volta alla giurisprudenza (comunitaria e nazionale) riempire di contenuti concreti la condizione di «controllo analogo», richiesta dal legislatore nazionale per legittimare l'affidamento di servizi pubblici locali in house a favore delle società a capitate interamente pubblico.

Sul tema, la prima rilevante pronuncia è quella della Corte di Giustizia 13 ottobre 2005, causa C¬458/03.

Con la sentenza cd. "Parking Brixen", infatti, i Giudici comunitari hanno approfondito il tema relativo all'affidamento diretto di pubblici servizi, pervenendo ad una più puntuale individuazione dei caratteri del controllo che l'ente deve poter esercitare sulla società affidataria del servizio pubblico.

Secondo la Corte di giustizia, il controllo esercitato dall'autorità pubblica concedente deve essere tale da consentire di influenzare le decisioni dell'ente concessionario: "(...) Deve trattarsi di una possibilità di influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti (...)" (punto 65 sentenza cd. "Brixen").

In altri termini, secondo l'orientamento comunitario consolidatosi nel tempo, per "controllo analogo" si intende un rapporto equivalente ad una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica, in particolare, quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell'ente pubblico sulla società. In questi casi, dal momento che la società non è soggetto terzo rispetto all'ente pubblico, risulta coerente con i principi comunitari l'affidamento diretto del servizio.

Si noti bene come i criteri europei non contengono riferimenti quantitativi; si guarda, infatti, all'effettività della partecipazione pubblica dominante, desumibile anche attraverso clausole statutarie o patti parasociali che assicurino preminenza della mano pubblica.

Chiarificatrice è, sul punto, la sentenza Stadt / Halle dell'I 1 gennaio 2005, causa C-26/03, con la quale la Corte di giustizia ha negato la possibilità dell'affidamento diretto in house ad una società che vedeva una minima partecipazione del privato, affermando testualmente che "(...) la partecipazione, anche minoritaria, di un impresa privata al capitale, alla quale partecipi anche l'amministrazione aggiudicatrice in questione, esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare sulla detta società un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi (...)", e tanto, prosegue la Corte, per la fondamentale ragione che qualunque investimento privato in un'impresa obbedisce a considerazioni proprie degli interessi privati e persegue degli obbiettivi che non sono di interesse pubblico, laddove un rapporto tra un'autorità pubblica ed i suoi "servizi", sottostà esclusivamente ad esigenze proprie del perseguimento di obbiettivi di interesse pubblico.

L'investimento privato è, dunque, incompatibile con il perseguimento degli interessi pubblici; e lo è anche quando sia minimale, cioè non in grado di incidere sulla guida della società, per il solo fatto di esserci.

Lo stesso principio, vale a dire l'esigenza che il capitale della società in house non sia aperto ad azionisti privati, è desumibile anche nella causa C-410/04, anch'essa portata al vaglio della Corte di giustizia e meglio conosciuta quale caso Mödling.

Si legge infatti nella sentenza del 6 aprile 2006: "(...) la partecipazione, ancorché minoritaria, di un'impresa privata nel capitale di una società alla quale partecipa pure l'autorità pubblica concedente esclude in ogni caso che la detta autorità pubblica possa esercitare su una tale società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. Quindi, se la società concessionaria è una società aperta, anche solo in parte, al capitale privato, tale circostanza impedisce di considerarla una struttura di gestione «interna» di un servizio pubblico nell'ambito dell'ente pubblico che la detiene (...)" (punti 31 e 32).

In quest'ultima pronuncia, l'arte maieutica della Corte si è spinta ancora oltre, richiedendo che la proprietà azionaria totalitaria in mano pubblica debba sussistere non solo nel momento genetico del rapporto, ma anche in quello funzionale, ossia durante l'intera vita societaria, e debba essere garantita da appositi e stabili strumenti giuridici (ad esempio, il divieto statutario di cedibilità delle azioni).

L'eventuale mutamento della compagine sociale della partecipata (con l'ingresso anche minoritario di privati) durante la vigenza di un contratto di gestione diretta del servizio pubblico locale, infatti, avrebbe come conseguenza l'affidamento di una concessione di servizi pubblici ad una società mista senza una procedura "aperta", con evidente violazione degli obiettivi perseguiti dal diritto comunitario.

Simile orientamento risulta condiviso anche dal Consiglio di Stato che, con decisione plenaria n. 1/2008, ha precisato come: "(...) in mancanza di una stabile e certa incedibilità delle azioni, il rispetto delle regole della concorrenza sarebbe rimesso (come non è ragionevolmente consentito) alla costante vigilanza degli altri operatori del settore, i quali dovrebbero verificare, per tutta la durata del rapporto sorto per affidamento diretto, la permanenza in mano pubblica del capitale (...)".

Individuati, in astratto, i tratti essenziali del controllo analogo appare necessario cercare di ricostruirne, nello specifico, il contenuto.

Partendo dall'assunto che: la partecipazione pubblica totalitaria non necessariamente assicura un potere diretto immediato sulle strategie e sugli indirizzi della società, occorre accertare in concreto gli strumenti operativi di «controllo strutturale» contenuti nell'atto costitutivo, nello statuto e/o nei patti parasociali della società in house.

La verifica operata dalla giurisprudenza sul «controllo analogo» è, infatti, rivolta più recentemente, alla ricerca di clausole o prerogative che conferiscano agli enti locali titolari di quote societarie reali capacità di controllo sull'attività decisionale dell'organismo societario, anche attraverso la vigilanza sugli organi societari (Assemblea dei soci e Consiglio di amministrazione).

Detto controllo, peraltro, va esercitato non soltanto in termini propulsivi o propositivi quanto, piuttosto e principalmente, in termini di esercizio di facoltà dirette a paralizzare le decisioni o te proposte che si pongano in contrapposizione con gli interessi pubblici degli enti locali nel cui ambito territoriale si esplica il servizio.

In merito, i Giudici di Palazzo Spada hanno precisato che: "(...) il controllo si sostanzia in un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell'ente pubblico sull'ente societario (...)" (Cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 25 gennaio 2005, n.168).

Gli elementi caratterizzanti il controllo si manifestano, allora, in quegli strumenti che materializzano l'esistenza di un controllo peculiare, sia sulle procedure formali di adozione delle decisioni inerenti alle obbligazioni contrattuali, sia sulle politiche e strategie industriali, per assicurare che non si sviluppino in contrasto con le effettive esigenze e necessità degli enti pubblici azionisti.

Avvalendoci della già richiamata pronuncia del Consiglio di Stato n. 1/2008, della quale si dirà, comunque, più diffusamente in seguito, possiamo riconoscere alcune delle condizioni e/o clausole pattizie idonee a garantire la sussistenza del controllo analogo:

  1. la società concessionaria non deve essere aperta, neanche in parte, a capitali privati;
  2. il socio pubblico deve avere il potere di nomina e revoca degli amministratori; 
  3. il consiglio di amministrazione della società partecipata non deve avere rilevanti poteri gestionali ed all'ente pubblico controllante deve essere data la possibilità di esercitare poteri maggiori rispetto a quelli che il diritto societario riconosce normalmente alla maggioranza dei soci (cfr. già citato Consiglio di Stato, n. 1514/2007);
  4. l'impresa non deve avere acquisito una vocazione commerciale tale da rendere incerto il controllo dell'ente pubblico. E' sintomatico, al riguardo: l'ampliamento dell'oggetto sociale; l'apertura obbligatoria della società, a breve termine, ad altri capitali; l'espansione territoriale dell'attività della società (cfr. Corte di Giustizia C.E. 10 novembre 2005, C-29/04);
  5. le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell'ente affidante [1]
  6. l'ente pubblico proprietario, nel cui bilancio vanno poi a confluire i risultati economici, positivi e negativi, della partecipata, deve avere un penetrante controllo sul bilancio di quest'ultima, atteso che la mala gestio e/o il dissesto della società in house providing comporta, per un verso, la negazione dei principi di efficacia, efficienza ed economicità dell'azione amministrativa, per l'altro, lo sviamento di pubblico denaro dal fine primario del soddisfacimento dell'interesse collettivo;
  7. l'ente pubblico proprietario deve avere il controllo sulla qualità del servizio erogato, approvando apposite carte di servizi vincolanti per il gestore;
  8. l'ente pubblico proprietario deve disporre di poteri ispettivi diretti e concreti, tanto da poter visitare e /o controllare i "luoghi di produzione";
  9. l'ente pubblico proprietario deve avere totale autonomia decisionale in tema di strategie e politiche aziendali. 

Non essendovi alcuna tassatività in merito ai patti parasociali idonei a garantire al socio pubblico quella forma di controllo richiesta dalla legge per poter procedere ad un affidamento diretto, la giurisprudenza amministrativa ha individuato ulteriori elementi sintomatici del controllo analogo:

  1. la presenza di un apposito Comitato di Controllo sulla gestione della società costituito dall'ente pubblico e "composto da cinque membri, presieduto dal Sindaco o dall'organo da questi delegato, dal direttore generale del comune se nominato o dal segretario comunale, dal dirigente del settore finanziario del comune ovvero dal dirigente del settore competente in relazione alla materia oggetto della decisione, indicato per ciascun caso in via discrezionale dal Sindaco, e da due consiglieri comunali individuati dal consiglio stesso in unica votazione. Ciascun consigliere comunale potrà esprimere una sola preferenza. Il Comitato assume le proprie decisioni in base a regolamento interno adottato dalla Giunta comunale ed è operativo fin dalla data di approvazione del presente statuto con la presenza dei tre membri di diritto" (cfr. T.A.R. Sardegna, Sezione I, sentenza 21 dicembre 2006, n. 2407);
  2. in caso di atti di straordinaria amministrazione, la preventiva comunicazione scritta ai soci pubblici dalla quale dovrà risultare con chiarezza l'argomento oggetto di decisione unitamente all'eventuale parere del Collegio Sindacale;
  3. in caso di atti di straordinaria amministrazione, la preventiva trasmissione di una relazione illustrativa al comitato di controllo sulla gestione costituito dai soci pubblici con l'attribuzione al medesimo comitato di un potere di veto o di avocazione della decisione all'assemblea dei soci;
  4. la determinazione dell'O.d.G. del Consiglio di amministrazione, il che garantisce esattamente il controllo dell'indirizzo strategico ed operativo della società;
  5. l'indicazione dei dirigenti da parte dei soci pubblici;
  6. l'elaborazione delle direttive sulla politica aziendale. In conclusione, quindi, secondo una lettura conforme ai principi comunitari e nazionali, il problema del controllo analogo non può risolversi in termini astratti, dovendosi piuttosto verificare, caso per caso, l'esistenza di una relazione di tendenziale immedesimazione tra la società diretta affidataria e l'ente pubblico titolare della partecipazione totalitaria, tenendo conto sia della specifica articolazione organizzativa e gestionale della società sia, in presenza di più enti pubblici soci, della natura dei rapporti intercorrenti tra gli stessi e dei poteri loro spettanti in ordine alla gestione societaria (cfr. Consiglio di Stato,decisione del 9 marzo 2009, n. 1365). 
     

Connesse al tema del controllo analogo sono le problematiche attinenti alla possibilità di individuare responsabilità contabili / amministrative, sottese alla gestione delle società in mano pubblica, sia in capo agli organi propri della stessa società sia, soprattutto, in capo ad amministratori e dirigenti dell'ente pubblico proprietario, nel cui bilancio, Lo si ripete, vanno a confluire i risultati economici della partecipata.

Per quanto concerne l'ipotesi di responsabilità amministrativa degli enti pubblici affidanti la gestione del servizio pubblico a società in house providing, appare opportuno sintetizzare i risultati a cui è finora pervenuta la giurisprudenza la quale, già in una sentenza della Corte dei Conti, sez. giurisd. Lazio, del 10 settembre 1999, n.1015, ha ravvisato "(...) la responsabilità per culpa in vigilando a carico dei Sindaci di un Comune che nel corso del loro mandato avevano omesso di controllare il generale andamento della gestione di una S.p.A. (costituita per la gestione di un servizio sociale), tralasciando di esercitare l'azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori di questa resisi responsabili di una gestione sprezzante delle regole di economicità, efficienza ed effi¬cacia (...)".

E, si badi, ciò anche in considerazione del fatto che l'ente proprietario era l'unico azionista della società, con il conseguente grave pregiudizio per la finanza pubblica dovuto ai sistematici finanziamenti che il Comune erogava al fine di coprire le costanti perdite generate dalla cattiva gestione della S.p.A.

Analogamente, la Corte dei Conti, sez. giurisd. per la Regione Marche che, nella sentenza del 12 luglio 2005, n.492, ha riconosciuto la responsabilità erariale nell'operato di un Comune che aveva provveduto alla ricapitalizzazione di una società partecipata dal medesimo ente, atteso che "(...) prima di assumere la decisione il Consiglio Comunale avrebbe dovuto valutare accuratamente le ragioni del dissesto e, soprattutto, accertare se esistevano le condizioni per ripianare la Società e renderla veramente operativa (...)".

Dunque, pare logico e coerente con le premesse fin qui effettuate ammettere la possibilità di adire la Corte dei Conti per far valere la responsabilità di amministratori e dirigenti degli enti pubblici in caso di danno all'erario scaturente dal dissesto delle società in house, in quanto non solo essi hanno il dovere di vigilare sull'andamento della gestione finanziaria dei servizi pubblici "esternalizzati" ma, soprattutto, perché sono essi stessi i diretti responsabili delle scelte economiche da questa realizzate tanto che, si ripete, la giurisprudenza e la legislazione nazionale e comunitaria concordano nella possibilità di escludere l'applicabilità delle procedure di evidenza pubblica solo qualora il "controllo analogo" di cui all'art.113, comma 5, lett. c) si concreti in una sorta di veto della P.A. in ordine alle decisioni inerenti all'attività societaria.

In tal senso, si è espressa anche l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, la quale, con la più volte citata decisione n. 1/2008, ha ribadito la necessità di una interpretazione restrittiva dei requisiti dell'in house providing, chiarendo che: "(...) la partecipazione pubblica totalitaria è necessaria ma non sufficiente, servendo maggiori strumenti di controllo da parte dell'ente rispetto a quelli previsti dal diritto civile. In particolare: a) lo statuto della società non deve consentire che una quota del capitale sociale, anche minoritaria, possa essere alienata a soggetti privati; b) il consiglio di amministrazione della società non deve avere rilevanti poteri gestionali e all'ente pubblico controllante deve essere consentito esercitare poteri maggiori rispetto a quelli che il diritto societario riconosce normalmente alla maggioranza sociale; c) l'impresa non deve avere acquisito una vocazione commerciale che rende precario il controllo dell'ente pubblico e che risulterebbe, tra l'altro: dall'ampliamento dell'oggetto sociale; dall'apertura obbligatoria della società, a breve termine, ad altri capitali; dall'espansione territoriale dell'attività della società a tutta l'Italia e all'estero; d) le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell'ente affidante. In sostanza si ritiene che il solo controllo societario totalitario non sia garanzia della ricorrenza dei presupposti dell'in house, occorrendo anche un'influenza determinante da parte del socio pubblico, sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti; ne consegue che l'in house esclude la terzietà, poiché l'affidamento avviene a favore di un soggetto il quale, pur dotato di autonoma personalità giuridica, si trova in condizioni di soggezione nei confronti dell'ente affidante che è in grado di determinarne le scelte, e l'impresa è anche sotto l'influenza dominante dell'ente. Da ultimo, sempre in aggiunta alla necessaria totale proprietà del capitale da parte del soggetto pubblico, si è ritenuto essenziale il concorso dei seguenti ulteriori fattori, tutti idonei a concretizzare una forma di controllo che sia effettiva, e non solo formale o apparente: a) il controllo del bilancio; b) il controllo sulla qualità della amministrazione; c) la spettanza di poteri ispettivi diretti e concreti; d) la totale dipendenza dell'affidatario diretto in tema di strategie e politiche aziendali (...)".

Con riferimento alla responsabilità contabile degli amministratori delle società partecipate, va rilevato come la presenza di capitali pubblici nelle S.p.A. cosiddette "in mano pubblica" pone la questione relativa all'assoggettabilità dei suoi amministratori e/o funzionari alle norme proprie della responsabilità amministrativa.

La risoluzione del problema, tuttavia, non può prescindere dalla definizione, sia pur sommaria, di responsabilità contabile nonché dalla rivisitazione della sua evoluzione storica.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione definisce la responsabilità contabile - amministrativa come quel particolare tipo di responsabilità per danno arrecato alle pubbliche amministrazioni da comportamenti illeciti, dolosi o colposi, di soggetti legati alle medesime amministrazioni da rapporti d'impiego o di servizio, di diritto o di fatto.

La responsabilità in esame, i cui riferimenti normativi si rinvengono nell'art. 52 R.D. 1214/'34 (Testo Unico delle leggi sulla Corte dei conti) e nell'art. 82 R.D. 2440/'23 (Legge sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato), trae diretto fondamento dal principio generale sancito all'art. 28 della Carta costituzionale, in base al quale i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti.

Essa è attratta alla giurisdizione esclusiva della Corte dei conti, rientrando specificamente nelle "materie di Contabilità Pubblica" di cui all'art. 103, comma 2, Cost.

Inizialmente limitato ai soli funzionari delle pubbliche amministrazioni nell'esercizio dei poteri autoritativi, l'ambito di applicazione della responsabilità amministrativa è stato successivamente esteso dapprima agli organi degli enti pubblici economici, poi anche agli amministratori delle società in partecipazione pubblica (totalitaria e/o mista).

Punto di partenza è stata la progressiva espansione del concetto di attività amministrativa.

Secondo la Corte di Cassazione, infatti, si esercita attività amministrativa non solo quando si svolgono pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando, nei limiti consentiti dall'ordinamento, si perseguono le finalità proprie dell'amministrazione pubblica mediante un'attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato.

Da ciò si desume che, essendo gli enti pubblici economici allocati a pieno titolo tra i soggetti pubblici, anche quando operino in regime imprenditoriale con strumenti privatistici, non vi è dubbio che i loro organi, in quanto organi di organismi pubblici, possano incorrere nella responsabilità amministrativa in tutti i casi di mala gestio.

Alla stessa conclusione si addiviene anche per gli amministratori delle società in house pure (società a capitale interamente pubblico), data la natura sostanziale di amministrazione pubblica che va loro riconosciuta, nonostante l'abito formale di società per azioni che rivestono [2] (in giurisprudenza, infatti, per spiegare l'in house providing è stata finanche evocata la figura della delegazione interorganica).

Maggiormente articolato appare invece il discorso con riferimento alle società a capitale misto (pubblico e privato) per le quali, non perdendo le stesse la natura di enti privati per il solo fatto che il loro capitale sia alimentato anche da conferimenti provenienti dallo Stato o da altro ente pubblico, non si è potuta utilizzare la nozione per così dire "allargata" di attività pubblica.

Per radicare la responsabilità contabile anche in capo agli organi delle società in house spurie, la giurisprudenza ha quindi dovuto riscrivere il concetto di rapporto di servizio, facendolo prescindere dalla natura privatistica del soggetto esterno cui è affidata l'attività e/o dello strumento contrattuale con il quale si sia costituito il rapporto.

Secondo l'orientamento consolidato della Corte di cassazione, infatti, l'affidamento da parte di un ente pubblico, ad un soggetto esterno, della gestione di un servizio pubblico costituisce una relazione funzionale incentrata sull'inserimento del soggetto medesimo nell'organizzazione funzionale dell'ente pubblico con conseguente possibile configurabilità delta responsabilità per danno erariale in capo ai suoi amministratori, a prescindere dalla natura giuridica dell'atto di investitura - provvedimento, convenzione, contratto - o da quella del soggetto che la riceve, sia essa una persona giuridica o fisica, privata o pubblica [3].

Ciò posto, tuttavia, non sempre gli organi della società mista possono incorrere nella responsabilità contabile, potendosi tale ipotesi configurare solo nei casi di mala gestio produttiva di danni diretti.

In particolare, proprio con riguardo alla gestione degli amministratori di società miste, la giurisprudenza recente distingue tra danno indiretto (responsabilità in cui gli organi sociali possono incorrere nei confronti della società) e danno diretto (responsabilità che essi possono assumere direttamente nei confronti di singoli soci o terzi).

La configurabilità della responsabilità contabile dell'amministratore o del componente di organi di controllo della società partecipata dall'ente pubblico non incontra particolari ostacoli nei casi di danni diretti, quando cioè l'ente pubblico sia stato direttamente danneggiato dall'azione illegittima.

La presenza dell'ente pubblico all'interno della compagine sociale ed il fatto che la sua partecipazione sia strumentale al perseguimento di finalità pubbliche ed abbia implicato l'impiego di pubbliche risorse non può sfuggire agli organi della società e non può comportare, per loro, una peculiare cura nell'evitare comportamenti tali da compromettere la ragione stessa di tale partecipazione sociale dell'ente pubblico o che possano comunque direttamente cagionare un pregiudizio al patrimonio di quest'ultimo [4].

Tipico esempio di responsabilità contabile è il danno all'immagine dell'ente pubblico che derivi da atti illegittimi posti in essere dagli organi della società partecipata [5].

Diversa è invece la conclusione da trarre ove il danno venga cagionato al patrimonio della società partecipata.

In tal caso, infatti, non sussiste un danno erariale inteso come pregiudizio direttamente arrecato al patrimonio dell'ente pubblico che è socio della società mista.

La ben nota distinzione tra la personalità giuridica della società di capitali e quella dei singoli soci e la piena autonomia patrimoniale dell'una rispetto agli altri non consentono di riferire al patrimonio del socio pubblico il danno che l'illegittimo comportamento degli organi sociali abbia eventualmente arrecato al patrimonio dell'ente: patrimonio che è e resta privato[6].

In conclusione, gli organi delle società miste sono assoggettabili alle norme proprie della responsabilità amministrativa solo nei casi in cui il loro comportamento abbia arrecato danni diretti nella sfera giuridico - patrimoniale del socio ente pubblico, non invece nelle ipotesi in cui il danno prodotto sia indiretto, cioè inferto al patrimonio sociale, per il qual caso la responsabilità rimane disciplinata dal codice civile.

Antonino Ilacqua

(pubblicato l' 11.5.2015)


[1] Cfr. Consiglio di Stato, decisione n. 5/2008, con la quale la V Sezione, confermando la sentenza emessa in primo grado dal T.A.R. per la Lombardia, ha ritenuto insussistente il controllo analogo esercitato su una società in house il cui oggetto sociale era la gestione di tutto il ciclo della nettezza urbana, sul presupposto che l'ente pubblico non esercitava alcun controllo sugli organi societari ed il Consiglio di amministrazione aveva poteri limitati soltanto da quelli dell'Assemblea dei soci.

[2] Cfr. Corte di Cass. S.U., n. 27092/'09.

[3] Cfr. Corte di Cass., S.U. n. 26806/'09.

[4] Cfr. già citata Corte di Cass., S.U. n. 26806/'09.

[5] Cfr. Corte di Cass. S.U., n. 14297/'07.

[6] Cfr. già citata Corte di Cass., S.U. n. 26806/'09.

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Lunedì 23 Luglio 2012<(Avv. Antonino Ilacqua - pubblicato il 2012 su FORO AMMINISTRATIVO C.D.S.- Anno XI Fasc. 3 - 2012 - Milano - Giuffrè Editore)Estratto[6328/276] L’IN HOUSE « PURO » DOPO LA RIFORMA DELLA MATERIA DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALISOMMARIO: 1. Il sistema dell’affidamento in house: l’art. 113, comma 5 del D.lgs. n. 267/2000 ed il dibattito tra dottrina e giurisprudenza.2. Genesi dottrinale ed evoluzione...Leggi tutto...

Nota su avvalimento 22 luglio 2008
Domenica 22 Luglio 2012<Il contratto di avvalimento - ex art. 49 D. Lgs. 163/06(Avv. Antonino Ilacqua)Il Contratto di avvalimento ex art. 49 D. Lgs. 163/06.L’avvalimento, istituto di elaborazione squisitamente giurisprudenziale teso a bilanciare le diverse esigenze dell’apertura alla concorrenza da una parte e dell’efficienza nell’esecuzione degli appalti pubblici dall’altra, trova fondamento nel diritto positivo ed...Leggi tutto...

Il Contratto di avvalimento ex art. 49 D. Lgs. 163/06.
Mercoledì 20 Giugno 2012<Il contratto di avvalimento - ex art. 49 D. Lgs. 163/06(Avv. Antonino Ilacqua)L’avvalimento, istituto di elaborazione squisitamente giurisprudenziale teso a bilanciare le diverse esigenze dell’apertura alla concorrenza da una parte e dell’efficienza nell’esecuzione degli appalti pubblici dall’altra, trova fondamento nel diritto positivo ed estensione generale (a tutti i pubblici appalti) negli...Leggi tutto...

Il “nuovo” project financing
Martedì 23 Novembre 2010<Il “nuovo” project financing(Avv. Antonino Ilacqua - pubblicato il 23 novembre 2010) 1. La definizione 2. L’evoluzione storica 3. Il contesto normativo italiano 4. Le alterne vicende del diritto di prelazione 5. La disciplina 6. Le Linee Giuda sulla finanza di progetto 7. Le garanzie 8. Conclusioni1. Definizione [Torna all'indice]Il project financing, o finanza di progetto, è una forma di...Leggi tutto...

Il contratto di avvalimento
Venerdì 30 Ottobre 2009<Il contratto di avvalimento(Avv. Antonino Ilacqua - pubblicato il 30 ottobre 2009)1. Il contratto di avvalimento. Nozione. Fonte di diritto interno.1.1. Disciplina dei Contratti pubblici.1.1.2. Codice dei contratti pubblici.1.1.3. L’attività contrattuale della P.A.2. Fonte di diritto internazionale.3. L’avvalimento nelle gare ad evidenza pubblica, è sempre possibile.4. La natura negoziale del...Leggi tutto...

La responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione evoluzioni giurisprudenziali
Venerdì 27 Marzo 2009<La responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione evoluzioni giurisprudenziali(Avv. Antonino Ilacqua - pubblicato il 27 marzo 2009)Paragrafo I La responsabilità precontrattuale. Cenni storici.Paragrafo II 1 La responsabilità precontrattuale. Nozione. Ambito di applicazione. 1.1 Tesi restrittiva. 1.2 Tesi intermedia. 1.3 Tesi estensiva.Paragrafo III 1 La natura giuridica della...Leggi tutto...

La Responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione. Evoluzioni giurisprudenziali
Lunedì 01 Settembre 2008<(Avv. Antonino Ilacqua - pubblicato il 2008 su FORO AMMINISTRATIVO C.D.S.- Anno VII Fasc. 9 - 2008 - Milano - Giuffrè Editore)Estratto[420/12] LA RESPONSABILITÀ PRECONTRATTUALE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE. EVOLUZIONI GIURISPRUDENZIALISOMMARIO: 1. La responsabilità precontrattuale. Cenni storici.2. La responsabilità pre­contrattuale. Nozione. Ambito di applicazione.2.1 Tesi restrittiva.2.2...Leggi tutto...

Brevi note sul D.L. n. 112 del 25 giugno 2008
Giovedì 10 Luglio 2008<Brevi note sul D.L. n. 112 del 25 giugno 2008 (Avv. Antonino Ilacqua - pubblicato il 10 luglio 2008)Il D.L. n. 112 del 25 giugno 2008 titola “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria”.Al suo interno si alternano, in un ordine sparso, disposizioni inerenti le materie più diverse,...Leggi tutto...

La sorte delle cartelle esattoriali "mute" dopo la pronuncia della Corte Costituzionale n. 377/2007
Giovedì 05 Giugno 2008<Articoli e Noten. 6 - 2008 La sorte delle cartelle esattoriali "mute" dopo la pronuncia della Corte Costituzionale n. 377/2007 (Avv. Antonino Ilacqua)Con ordinanza n. 377/2007 è stata sottoposta al vaglio del giudice delle leggi la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 2, L. 212/'00 (cd. Statuto dei Diritti del Contribuente) nella parte in cui dispone l'obbligo di indicare...Leggi tutto...

Nota Project Financing: la scomparsa del diritto di prelazione del promotore
Sabato 04 Agosto 2007<Project financing: la scomparsa del diritto di prelazione del promotoreNota project financing (Avv. Antonino Ilacqua - pubblicato il 4 agosto 2007 sulla rivista di diritto pubblico "Giustizia Amministrativa")Nel modificare la disciplina del project financing contenuta negli artt. 153 e 154 del Codice dei Contratti (d.lgs. n. 163/2006), l’art. 1 del decreto correttivo (d.lgs. n. 113/2007) ha...Leggi tutto...